Ma tu non puoi capire cosa significhi tradire
qualcuno con il quale sei cresciuta assieme nel medesimo quartiere, gomito
a gomito con gli stessi problemi, con la stessa voglia di scappare dal
vicolo buio e povero vicino a Via dell’Orto, dove io e Andrea abitavamo,
con le stesse manie per le feste, i lupini, con famiglie simili che alla
domenica sera pensavano solo a metter a tavola i propri figli e a
incalzargli le lenzuola, aspettando il lunedì con il babbo muratore in San
Frediano e la mamma che ricamava per un bel negozio di Por Santa Maria a
Firenze, in centro. Non puoi capire cosa significhi, avere qualcuno che è
come te, che è nato a San Frediano e si accontenta, che non solo non
conosce l’America, il resto d’Italia, ma non conosce i luoghi più rinomati
di Firenze, non si può permettere di andare da “Giacosa” a gustarsi una
cioccolata calda o un ponch e vive delle chiacchiere di quartiere fatte al
sabato all’osteria con quei quattro soldi che guadagna. E io, appena resto
sola con il mio quartiere scordo tutto, gioco all’americana, scordo i miei
valori, la lealtà, la sincerità, scordo da dove son venuta.
In quel momento volevo solo stare a Boboli, mi vergognavo del mio
quartiere che la guerra aveva reso ancor più buio e volevo solo
passeggiare con te a Boboli nell’illusione di trovarmi in un posto
interamente bello come lì.
Ricordi quando ti dicevo di stare in Via Maggio e ti narravo le mie
origini nobili? Era falso, le mie uniche origini son sotterrate sotto gli
antichi orti delle casette a schiera di Via Camaldoli. Ma tu non puoi
capire nemmeno questo perché sei straniero… Straniero… una strana parola
che sottolinea la tua lontananza da me e non perché sei americano e non
conosci le mie usanze, sarebbe lo stesso se tu fossi di Via sant’Egidio,
non potresti capirmi ugualmente…
Io comunque, tanto per esser chiara, sono ed ero quella ragazza allegra e
semplice che hai visto palpitare davanti alla minestra di pane, mangiata
alla nostra osteria.
Ieri l’ho cucinata: tutto il giorno a pulire la verdura, la bietola, il
cavolo nero e a inumidire il pane per formare gli strati per la minestra,
con quell’odore di fagioli cotti che mi invadeva la casa e la fronte
sudata a forza di star lì a girare la pentola e a prendermi in faccia i
vapori. Stronfiavo, fin quando è arrivato Andrea…
Sì me lo son sposato e non per riempire il vuoto dato dalla delusione che
mi dasti quando partisti all’improvviso senza dirmi una sola parola,
semplicemente stringendomi le mani, porgendomi un volto affranto dal
pianto, un volto che non voleva essere bugiardo, voleva solo amarmi
ancora. L’ho sposato perché ha saputo perdonarmi, capire che tu per me eri
importante allo stesso modo di come son importanti i films di cui dopo la
guerra mi innamorai: sai, films come quelli dell’attore romano, Alberto
Sordi. Ne avrai sentito parlare, sembra vogliano scritturarlo in America.
Mi dispiacerebbe se ne andasse dopo tanti sogni e risate che ci ha
regalato, anche se poi ogni tanto mi fa pure piangere.
Insomma, Andrea capì che io avevo rincorso un sogno da cui prima o poi mi
sarei staccata da sola, non combinandosi con la mia vita. Ho dovuto
rimeritarmi il suo rispetto e la sua fiducia e quando è nata Lia e alla
radio han mandato un programma americano, ho sorriso e lì ho capito che
eri diventato solo un chiodo, un piccolissimo ricordo di vita che era
sparito al confronto con le gioie della mia vita attuale. Eri solo un
esile ricordo che segretamente scricchiolava nel mio cuore.
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