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da I quattro amici di Giorgio Bertini

 

 

Ad un brozzese abituale frequentatore come tanti altri paesani del circolo “Le stanze”, che il partito fascista insieme ad altri immobili aveva requisito senza pagare né dire grazie a nessuno, verso la fine del ’42 venne l’idea, parlando con gli amici durante il ritrovo serale, di far qualcosa per muovere un po’ la sonnolenta monotonia del paese che, oltre lo spettacolo domenicale al cinematografo di Francino e la panna con il cialdone di Gennaro, ai giovani non offriva altro. Mentre gli anziani, giocando a carte nel caffè di Guido o alle Stanze, passavano il loro tempo trovando così l’ora di cena o quella di andare a letto.

Il Capaccioli, così si chiamava costui, aveva fatto parte dell’orchestrina da ballo che era rimasta in vita fino all’inizio della guerra suonando la batteria e facendo il presentatore quando era necessario.

La sua idea era quella di mettere insieme personaggi da reperire nel paese e nei dintorni, per allestire uno spettacolo di arte varia, naturalmente senza grandi pretese artistiche ma valido per fare qualcosa di diverso per tutti i paesani.

Naturalmente, prima di pensare all’organizzazione, bisognava avere il parere favorevole dei padroni di casa.

La stessa sera in cui il Capaccioli palesava agli amici l’idea che aveva in testa, c’era nel circolo, insieme ad altri camerati che come sempre formavano un gruppetto a sé, “Ridolfo di mille lire”, uno dei capi del partito fascista di Brozzi noto a tutti con questo soprannome, che divideva con il fratello Elio; ad un certo momento il Capaccioli lo vide  alzarsi da sedere per qualche sua necessità e approfittò di questa occasione per avvicinarlo, chiamandolo per nome:

“Scusami, Ridolfo”, disse quando l’ebbe vicino.

“Dimmi, dimmi”, rispose con il tono finto bonario che usava con i paesani.

Il Capaccioli, cercando le parole giuste per esporre la sua idea, domandò:

“Che ne pensi, naturalmente con il vostro benestare, se fra paesani si cercasse di mettere su a Brozzi uno spettacolo di varietà?”

Questa domanda piuttosto strana considerando i tempi in cui si viveva, lasciò Ridolfo interdetto guardando il suo interlocutore con occhi sgranati, senza riuscire per un po’ ad aprire bocca.

“Come mai t’è venuta questa idea?”, domandò poi.

“Per fare qualcosa che rallegri  un po’ il popolo”, rispose; “Il teatro dove farlo c’è; si tratterebbe soltanto di mettere insieme chi suona, qualcuno che canta e magari anche chi racconta un po’ di barzellette”, aggiunse esponendo in linea di massima cosa c’era da fare.

“A dire la verità, non mi sembra una cattiva idea”, disse Ridolfo soppesando le parole, come chi è colto di sorpresa e non sa valutare con esattezza quanto gli viene proposto; ma che nello stesso tempo trova la cosa interessante soprattutto guardandola dal lato economico.

“Comunque non credo che ti potrò dare una risposta così su due piedi; ne parlerò con chi di dovere e fra qualche giorno ti farò conoscere se la tua proposta è stata accettata oppure no”, concluse licenziando il Capaccioli con l’accenno del saluto fascista che l’altro dovette ricambiare.