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da Mario Rapisardi di Angelo De Gubernatis

 

 

Arturo Graf, poeta egli stesso originale e critico profondo, scrisse del Rapisardi «che infine è il solo che abbia saputo accogliere in versi d’altissimo suono e di tempra incorruttibile il grido dei nuovi tempi»; gran lode, ma che nessuno il quale abbia senso di giustizia può negargli. Nessuno aveva sollevato più coraggiosamente del Rapisardi fin dalla prima gioventù una bandiera di ribellione, e nessuno l’ha difesa con maggiore intrepidezza e con maggior costanza; egli fu pure poeta amoroso, e come tale, tradusse anche le liriche di Orazio e di Catullo; ma sovra ogni cosa volle essere poeta giustiziere.
In Francia al Sully Prudhomme (1), per le serie di canti che intitolò «Justice», furono resi grandi onori, e finalmente conferito il gran premio Nobel; i fieri canti rivoluzionari che il Rapisardi raccolse sotto il titolo Giustizia passarono in Italia quasi inosservati.
Ma Gaetano Trezza, il forte critico veronese, li aveva bene scorti e tratteggiati con parole vibranti. «La sua Giustizia», egli scriveva, «non dubito dirlo, è una impossibilità storica; la società che egli vagheggia e che affretta col desiderio, è un idillio ancor lontano; le vergogne contro cui protesta son troppo vecchie e profonde per divellerle d’un colpo dai nostri costumi; la redenzione delle plebi dee tenere altra via di quella ch’egli s’immagina nell’ebra impetuosità dell’anima offesa da tante miserie e da tante demenze. Filosoficamente non potrei consentire coll’illustre poeta; la rivoluzione nulla crea di efficace e di saldo. Eppure chi non dimenticherebbe le leggi della storia, affascinato da queste liriche piene di vita?
L’originalità del Rapisardi qui si rivela meglio che negli altri suoi canti.
È un grande ingegno d’artista che ritrovò la propria forma con lunghi ed ostinati sforzi; la forma rapisardiana non rassomiglia a nessun’altra; è lui, tutto lui, maturato in una più alta coscienza di sé stesso. Dalle sue canzoni esce una voce profonda, triste, minacciosa, come di gente che soffre ignorata e calpestata da tutti; è un mondo di Lazari che geme a piè delle mense degli Epuloni; son grida spezzate che accusano cuori spezzati; son lacrime che grondano solitarie e pregne di rabbia senza che alcuno le raccolga; son fremiti acuti che s’aggiran per quella torba atmosfera di schiavi oppressi da tutti i gioghi sociali, somiglianti al mugghio titanico d’un Encelado che muti fianco di sotto la montagna che gli dirompe la schiena».

 

 

(1) René François Armand Prudhomme, detto Sully Prudhomme (1839-1907), poeta francese animato da un estremo idealismo e da fiera avversione contro le ingiustizie sociali; fu il primo vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1901.