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Remo Sandron

 

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da Ferdinando IV e il suo ultimo amore di Salvatore Di Giacomo

 

 

«Ferdinando ha una certa grazia naturale; monta benissimo a cavallo e benissimo tira: rideva molto quando io sparavo a un cinghiale o a un fagiano. Poiché non aveva mai visto una donna montare a cavallo all’inglese, in sella inglese e reggendosi sopra una sola mano, quando vide il Margravio chinarsi, afferrare il mio piede e sospingermi in sella, ove fui in un batter d’occhio, rimase di stucco. Avevo in quel tempo una giumenta figlia di «King Herold»; seguivo ben da vicino il Re, e tuttavia egli fu inquieto per me durante tutta la cavalcata.
Tornammo a piedi dalla caccia, e quel ritorno mi parve caratteristico. Per la via or un contadino afferrava il Re per la manica del soprabito, or un altro per le code di esso, e un altro si gettava per terra e gli si avvinghiava a una gamba: e tutti un poco gli esponevano le loro miserie domestiche, la loro ristrettezza pel magro raccolto, l’ingiustizia di qualche loro padrone. E il Re consolava l’uno, rimproverava l’altro, e ad uno prometteva, e un altro lodava e, di volta in volta, s’impazientiva e strepitava, mentre a tutti rispondeva e mentre tutti avevano l’aria di parlare a un loro amico, pur invocando il suo regale potere. Il Margravio rideva (1).
Quel d’Hatrava, nella cui casa eravamo alloggiati, non mancava mai al pranzo del Re. La sua straordinaria ghiottoneria mi colpì. Ferdinando giuocava con lui a tric-trac e per impedirgli di procurarsi delle indigestioni: così, quando l’Hatrava vinceva il Re gli pagava quel ch’egli aveva vinto — quando invece la fortuna arrideva al Re questi, per ogni partita che l’Hatrava avesse perduta, gli sopprimeva un piatto a tavola. Or accadde che una sera questo caro signor d’Hatrava perse un numero di partite superiore a quello solito delle portate, una delle quali apparve a un tratto in tavola, fuori menu, rappresentata da un magnifico tacchino rimpinzato d’ottimi tartufi. E il disgraziato fu esemplarmente punito, poi che nemmen di quello gli fu permesso di assaggiare un solo boccone! Per quella sera il golosissimo signore non prese indigestioni di sorta. E sì che aveva ragione di amare que’ pranzi succulenti: Ferdinando s’era saputo provvedere del più esperto cuoco che io abbia mai conosciuto.
Il Re amava lo scherzo; e amava anche la musica: Paisiello, difatti, lo accompagnava da per tutto (2). E ricordo che la vigilia di Natale del 1789 egli fece dare un concerto a cui, sole donne invitate, fummo l’ambasciatrice di Francia ed io. Ricordo ancora che il Re accompagnò al clavicembalo il Paisiello, ve lo fece sedere davanti e poi s’allontanò un momento per andare egli stesso a cercare in una stanzetta ov’era riposta tutta la sua preferita musica, un finale d’opera nel quale ricorrevano le parole: “O bella ambasciatrice!,, (3).

 

 

(1) «Il existe entre le roi de Naples et le margrave d’Anspach une correspondance intime et suivie sur tout ce qui est relatif à la chasse. Chacun de ces princes tient un registre exact dans lequel sont inscrits jour par jour, heure par heure, les hauts faits qui les illustrent». Mémoires secrets et critiques des Cours, des gouvernements et des moeurs des principaux Etats de l’Italie par Jean Gorani. — A Paris, chez Boisson, 1793, Vol. I, p. 193.

(2) Giovanni Paisiello — nato a Taranto il 9 maggio del 1741 — era in quelli anni all’apice della sua celebrità. Ora, tornato da Roma nel 1785 dopo l’insuccesso immeritato d’una delle sue opere, non s’era più voluto allontanare da Napoli. Ferdinando, nell’ottobre del 1787, lo avea nominato suo maestro di camera e di cappella, al posto di Pasquale Cafaro, assegnandogli uno stipendio di milledugento ducati l’anno. Era, agli anni in cui la Craven si fermava a Caserta, il bel tempo della Nina pazza per amore, della Molinara, dell’Inganno felice, opere tra le più inspirate del grande compositore, che a soli trentasei anni ne aveva già composto cinquantuno.
(3) La giovane e bella baronessa de Talleyrand, moglie del Maresciallo di Campo barone Luigi Maria Anna de Talleyrand-Périgord, nominato ambasciatore di Francia a Napoli nel 1788, morto a Parigi nel 1799.
Di lei e dell’ambasciatore parla sovente, nel suo Journal d’émigration, il conte Guglielmo Tommaso d’Espinchal che in Napoli passò i mesi di gennaio e di febbraio del 1790 e conobbe, in casa della principessa di Belmonte, il margravio d’Anspach e la Craven. Il barone di Talleyrand avea due palchi al San Carlo, comunicanti così da costituirne un solo ove l’ambasciatore e la moglie ricevevano specie i signori francesi. Alle cacce di Ferdinando lo stesso ambasciatore condusse una volta il d’Espinchal. Questi prese pur nota, come avea fatto la Craven, dell’abito che aveva il Re di serbare nella maniera descritta dalla Craven i trofei di caccia. — V. Journal d’émigration du comte d’Espinchal, publié d’après les manuscripts originaux par Ernest d’Hauterive — Paris, Perrin, 1912.